Destination 14 Giugno 2018
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La Firenze segreta di Vanni Santoni

14 Giugno 2018
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Lui è Vanni Santoni, scrittore underground tra i più poliedrici dell’editoria italiana, finalista allo Strega con La stanza profonda (Laterza, 2017), il luogo una libreria-caffè di Firenze colta e indipendente, il suono in sottofondo quello incalzante del jazz-rock, il grigio la tonalità del buio umido di una serata piovosa.

Santoni è come l’Arno in piena. Un fiume di parole per raccontare la sua Firenze, dove vive in una delle strade del centro. Una di quelle vie che di giorno «sono flagellate dal turismo di massa che impedisce di circolare anche in bicicletta».

 

Firenze «è un personaggio da conoscere da vicino, va esplorata lontana dai cliché da cartolina e al calare della sera». Non ha dubbi, Santoni, che a volte la tratta male, «sempre più svenduta alle logiche dei viaggi mordi e fuggi, depauperata delle sue botteghe artigiane a favore di “mangifici” per stranieri».

Eppure la ama profondamente, quasi fosse la luce che attira le falene. Ogni nuova storia parte o arriva a lei. Nel suo ultimo libro, L’impero del sogno (Mondadori, 2017), avventura onirica che mischia fantastico, mito e miraggio, molte pagine sono ambientate alla Biblioteca Nazionale.

 

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«Firenze è un personaggio da conoscere da vicino, va esplorata lontana dai cliché da cartolina e al calare della sera»

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La passeggiata in notturna parte dalla libreria La Cité, tappa fondamentale per Vanni che su questi tavolini si immerge in ore e ore di scrittura totalizzante. «Siamo in Oltrarno», spiega, «dove rifugiarsi fino a tardi per non essere sommersi dalle orde di turisti e cenare magari alla Trattoria Sabatino proprio fuori la Porta San Frediano.

Da qui è inevitabile un salto in Santo Spirito, che ancora mantiene il suo appeal di ritrovo dei fiorentini o in piazza del Carmine per fare una riflessione sulla metafisica», ironizza. 


 

 

 

Consigliato tornarci anche di giorno, per entrare nella Cappella Brancacci affrescata da Masaccio.
«È una degli antichi ingressi all’urbe, tra le poche intatte e ancora incastonate nelle mura. Oltre inizia l’arrampicata verso la zona panoramica, su per la scalinata omonima».

Sulla collina dove poggiano la basilica romanica e il Cimitero delle Porte Sante, il tempo pare sospeso e il capoluogo toscano diventa una visione. «San Miniato è come un faro che punta i suoi raggi luminosi sulla città tracciandone, di fatto, la prima planimetria». 

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Gli occhi dello scrittore rileggono il paesaggio: «Da quest’altezza si scorge la verità di Firenze e i bagliori che rimanda dal basso sembrano un’alba che non spunta mai o, a seconda dello stato d’animo, braci che stanno per spegnersi. O risorge o brucia». Uno scenario d’insieme, aggiunge, «da cui spiccano particolari che da altre prospettive non è possibile percepire.

Tra questi la Badia Fiorentina, a pianta esagonale con il campanile a punta inaspettato come un’epifania, nascosto e poco visibile da sotto. 

 

E poi le grandi basiliche di Santa Croce e Santa Maria Novella, adagiate come navi giganti sul mare calmo».

A crepuscolo inoltrato ridiscendiamo per superare «le terrifiche sponde» e recuperare un dialogo privato con la bellezza, tra le vie deserte e i palazzi rinascimentali chiusi. «Arriviamo in piazza Duomo di lato o da dietro», suggerisce l’autore, «così da farci travolgere dal suono fantastico della Cupola del Brunelleschi, come fosse il boato della sirena di un vascello in partenza». 

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La notte è ormai fonda e la passeggiata onirica a luci soffuse con Santoni si conclude a Santa Trinita, sotto lo sguardo delle Quattro stagioni, le statue a sentinella del ponte con le “pigne” che fanno da contrafforti, uno dei più belli. «Il Ponte Vecchio non lo attraverso mai», confessa Vanni, «così oppresso nella propria identità di cartolina mi sembra marcio».

Photo credits

Pag. 1 © orpheus26/AdobeStock

Pag. 3 © Gabriele Ferraresi

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